Care compagne, cari compagni,
Sinistra Ecologia e Libertà Circolo “Pablo Neruda” di Caserta arriva al suo congresso cittadino con davanti a sé una grande sfida da raccogliere. È necessario ricostruire l'unione tra uomini e donne che si riconoscono negli ideali del patrimonio comune della cultura politica della sinistra, inclusiva di storie e linguaggi anche diversi tra loro, nella coniugazione dei principi di libertà ed equità sociale, dei valori di solidarietà e dignità della persona, dell'attenzione al futuro dell'ecosistema del nostro pianeta.
Anche sul nostro territorio, le recenti elezioni amministrative, nonostante i risultati non proprio esaltanti, hanno comunque messo in movimento energie che hanno dato prova di vitalità e potenzialità inaspettate, generando un nuovo senso di appartenenza e la voglia di partecipare alla costruzione di una Sinistra nuova.
È necessario riempire il vuoto politico che si è creato in Italia, per evitare l'esaurirsi dell'energia civile dei cittadini che patiscono la pericolosa deriva della situazione politica tanto a livello nazionale che locale e vogliono che la Sinistra torni a far sentire le proprie proposte, in modo coerente e attraverso un linguaggio comune, su temi e questioni di fondamentale importanza per il futuro del nostro Paese.
Il governo Berlusconi ha superato la prova della fiducia parlamentare, ma continua a mostrare con evidenza la sua fragilità. Troppe le contraddizioni accumulate e l'incapacità di rispondere alla crisi per pronosticare una ulteriore durata della parabola berlusconiana. Questo non vuol dire che il governo non possa continuare a fare danni, anche maggiori di quelli già fatti: dalla riforma universitaria alla legislazione sul lavoro, dall'attacco alla magistratura all’inasprimento del clima complessivo. Un'epoca di arretramenti sociali, regressione democratica e destrutturazione complessiva è alle nostre spalle. Il berlusconismo ha ben incarnato un modello di comando fondato sulla corruzione, la rendita parassitaria, l'eliminazione dei diritti sociali e del lavoro. Ma la regressione sociale è stata favorita anche da un modello sociale basato sulla modernizzazione del sistema capitalistico vincolata alla competizione globale e veicolato dall'Unione europea. Un modello che ha permeato anche il centrosinistra italiano il quale ha contribuito a sua volta a realizzare quel disegno. Non a caso, uno degli ultimi puntelli del sistema berlusconiano è proprio la non credibilità alternativa del suo principale competitore.
Quel modello economico e sociale mostra però la corda e la crisi globale evidenzia come le classi dominanti, nel loro insieme, stanno portando al fallimento e all'implosione l'intera società.
Una nuova generazione comincia ad avvertire l'intollerabilità della propria condizione e chiede conto del proprio futuro. Lo fa a volte in forma disperata proprio perché non riesce più a concepire la speranza. Ma lo fa. E accanto a essa, settori del mondo del lavoro provano a tenere aperta una possibilità di resistenza alla crisi.
C’è, dunque, l’esigenza di un'inversione di tendenza che si materializzi innanzitutto in un rinnovato protagonismo dei movimenti e dei soggetti colpiti dalla crisi, consapevoli che solo la loro unità - sulla base di rivendicazioni chiare ed efficaci, che facciano pagare la crisi a chi l'ha provocata - può generare la risorsa essenziale in grado di resistere e di proporre un cambiamento.
Ma, care compagne e cari compagni, la cultura di un partito ovviamente non è racchiusa in un manifesto, né è un prodotto intellettuale, ma è tutt’uno con gli obiettivi politici e programmatici e con la visione della società, nonché con la prassi stessa del partito.
Essa è un misto di vari ingredienti. Da un lato è espressa da quell’universo antropologico che, declinato ai vari livelli, accomuna le percezioni, le sensibilità, il modo di ragionare e di impostare i problemi dei dirigenti e delle masse di aderenti e simpatizzanti, e giustifica lo stare assieme. Mi riferisco a quell’universo insito nel modo di sentire, di interpretare il mondo, di impostare le relazioni causa-effetto, di dare le gerarchie di valore e definire l’immaginario collettivo.
Da un altro punto di vista, è espressa dalle fonti di ispirazione del pensiero consapevolmente elaborato che arriva a coinvolgere le interpretazioni della storia, la rappresentazione delle relazioni economiche, fino alle posizioni filosofiche e dottrinarie professate e alle angolature utopiche e ideali di quel pensiero.
Ma sono, ancora, cultura di un partito anche quegli orientamenti più contingentemente empirici informati da concezioni del ruolo e delle modalità di svolgimento politico, attinenti soprattutto alla formazione dei dirigenti. Quelle concezioni plasmano le gerarchie di valutazione delle cose, la forma mentis, i linguaggi, i riti, valori e disvalori, con cui viene praticata la politica, e con cui viene trasmesso al corpo del partito un modo di viverla e di riprodurla.
Da ultimo, ma non marginale rispetto agli altri aspetti, un partito si definisce culturalmente anche per come concepisce la funzione intellettuale e per il rapporto che instaura con le competenze e i saperi.
Personalmente ho la sensazione di provenire da un partito, i Ds, che si è sciolto senza lasciare un’elaborazione, una visione della società, idee specifiche di governo, un dibattito culturale, la costruzione di strutture di staff, scuole di partito, un rapporto politico con gli intellettuali.
Non c’è egemonia politica senza egemonia culturale; rinunciare a una sintesi culturale in nome di una pluralità informe e sbiadita di suggestioni vuol dire condannarsi a un empirismo oscillante e all’assenza di identificazione e prestigio nella società.
Questo a mio modo di vedere è il punto cruciale nella costruzione di partito nuovo.
I compagni, più o meno “silenziosi”, hanno il sacrosanto diritto di non dover partecipare a guerre nel Partito, tanto più se esse sono per il controllo di incarichi interni o di cariche pubbliche, fino addirittura al precoce posizionamento per future liste elettorali. Discutere e magari anche battagliare sulle linee politiche e organizzative è perfettamente legittimo e normale in tutti i partiti. Altra cosa è dividersi su chi è amico di chi, su quale cordata di potere è più conveniente sdraiarsi, magari per prenotare un posto di parlamentare o di consigliere.
Questo modo di fare politica, purtroppo non estraneo alla sinistra italiana, in specie negli ultimi tempi, e nello specifico nella nostra regione, hanno contribuito non poco ad allontanare dalla militanza vecchi e nuovi compagni, generando e alimentando aggregazioni contingenti, come movimenti, comitati, associazioni e quant’altro capaci di unire su singole tematiche, ma incapaci di dar vita ad una azione politica permanente ed incisiva.
Per discutere su SEL a Caserta, è bene innanzitutto cominciare a discutere su SEL a livello nazionale. Quale SEL vogliamo debba ulteriormente rafforzarsi nel panorama politico italiano? Quali i connotati e, soprattutto, gli obiettivi strategici e le conseguenti tattiche? Vogliamo essere, nel mare della sinistra italiana, un Partito socialista-ecologista sia pure di tipo nuovo? Quale il rapporto di questo Partito con il sistema capitalistico moderno e globalizzante? Quale deve essere il rapporto con le classi sociali e i diversi ceti, a cominciare dal mondo operaio e popolare? Quali le linee complessive di politica economica ufficialmente proposte dai nostri organismi dirigenti nazionali, al di là dei pur apprezzabili contributi di singoli compagni? Si potrebbe continuare. Magari alcune risposte sono state già date, ma certo molti, anche nella sinistra italiana, non hanno nessuna idea su cosa SEL voglia diventare da grande. Molti italiani genericamente conoscono e stimano Nichi Vendola, la sua capacità di risvegliare la passione politica e l’idealità, ma non hanno ancora chiara l’identità complessiva di questo partito e delle sue proposte.
Definire l’orizzonte largo di un movimento politico è fondamentale per definire quale strumento politico questo orizzonte deve utilizzare. Schematizzo: nel contesto italiano, il percorso a breve e a medio termine di SEL diventa di fondamentale importanza. Esiste la possibilità reale di un intervento politico (fra PD da una parte e Fed. della Sinistra dall’altra) che possa intercettare ceti e interessi rappresentabili da una forza politica di sinistra credibile, nello stesso tempo riformatrice e alternativa. Insomma una forza che possa realisticamente rappresentare una parte grande del vecchio e nuovo popolo della sinistra italiana. SEL deve avere l’ambizione di essere questa forza. Con quali prospettive immediate nel nostro panorama politico? Alcuni compagni vedono in SEL una forza inevitabilmente passeggera, in vista della formazione di un grande Partito di sinistra che possa inglobare una parte considerevole dell’attuale PD. Nessuno è in grado di prevedere un futuro a medio-lungo termine, ma un’analisi realistica delle forze in campo mi fa ritenere sicuramente suggestiva ma illusoria questa prospettiva. Essa infatti presuppone una rovinosa disfatta del PD, tale da scompaginare e rompere l’unità di quel Partito. E’ questo l’obiettivo a cui dobbiamo tendere? E allora perché ci siamo mossi e ci muoviamo verso un’alleanza elettorale e politica con il PD?
Mi pare allora più credibile, almeno nel medio-lungo periodo, la necessità che SEL diventi esso stesso un Partito capace di colmare il vuoto di una prateria attualmente desertificata fra PD e Federazione della Sinistra. Solo quando SEL diventerà questa “cosa”, potrà avere quella forza di attrazione tale da poter aspirare realisticamente alla creazione di una “cosa” ancora più grande e determinante. Le scorciatoie, care compagne e cari compagni, non pagano.
Ma allora, se questa è la strada da percorrere, è inevitabile che SEL si sviluppi, ora e non dopo, come Partito qualitativamente e anche quantitativamente ragguardevole. Noi non possiamo essere semplicemente lo strumento di pressione e la massa di manovra per investiture future che rischiano di reggersi sulla sabbia. Non è di un contenitore sbrindellato seppur brillantemente manovriero che abbiamo bisogno. E, a maggior ragione, non possiamo neanche essere il Partito dei “pochi ma buoni”, cioè di quella teoria politica elitaria e radicaleggiante storicamente rappresentata dai segmenti estremistici e minoritari della sinistra italiana e mondiale. Magari puramente antagonista, priva di un necessario progetto di governo del Paese.
Quindi, qual è il Partito che ci serve? Innanzitutto, un Partito. Non un movimento. E non sembri una questione nominalistica. Un movimento, per sua natura, rappresenta esigenze particolari legate a particolari contingenze storiche, non richiede strutture stabili e codificate, non reclama la necessità della sintesi rispetto ad altri movimenti e rispetto, in generale, al contesto complessivo politico-economico-istituzionale in cui opera. Un Partito (ma soprattutto un Partito di sinistra) deve avere altri connotati, richiede organizzazione costante, militanza, ramificazione territoriale, regole condivise e rispettate. A mio parere, di questo tipo di Partito SEL ha bisogno. NON SERVE IL PARTITO DI UN LEADER, SERVE UN PARTITO CON UN LEADER. Con organismi dirigenti (nazionali e locali) in grado di dirigere democraticamente con autorevolezza e consenso guadagnati sul campo. Quindi ecco la necessità di un quadro costante di regole e garanzie non interpretabili a seconda delle convenienze, ma puntualmente rispettate almeno fin quando un nuovo Congresso non ne cambi i contenuti. Ecco la necessità insostituibile di una forte organizzazione interna, strutturata e coordinata in centri territoriali e tematici, con un punto di riferimento centrale costituito dal tesseramento inteso come espressione di un’adesione politica che va al di là di un semplice voto alle elezioni. Ovviamente questo tipo di tesseramento non può essere affidato a slanci momentanei e volontaristici, richiede invece una riconquista costante del consenso e della partecipazione dei compagni. Richiede insomma un’attività specifica del lavoro del Partito.
Infine, voglio sottolineare la necessità di una più approfondita elaborazione del rapporto fra Partito e movimenti. E’ fuori discussione che SEL debba avere relazioni e contaminazioni con movimenti sociali più o meno organizzati, dai sindacati alle associazioni culturali a quelle del volontariato ecc. Ma non è accettabile che SEL diventi semplicemente un contenitore di movimenti sociali che, magari attraverso loro esponenti nel nostro Partito, dettano la linea nel loro singolo settore di competenza. SEL deve poter dialogare, collaborare e interagire con i movimenti, ma non assumere paternità sotto dettatura. Così come è importante che le campagne elettorali di SEL non vengano di fatto appaltate a candidati che, un po’ per disponibilità economiche un po’ per collegamenti trasversali, acquistano un peso politico nettamente maggiore rispetto a un semplice compagno (magari operaio) parimenti meritevole di appoggio, ma molto meno provvisto di soldi e di collegamenti esterni. Le campagne elettorali tendenzialmente all’americana non credo possano appartenere al DNA di un Partito di sinistra. Per qualcuno tutto ciò significa sperimentare una nuova forma-partito. Per me invece tutto ciò è uno scimmiottamento delle pratiche deteriori del nuovo modo di far politica in Italia.
In conclusione personalmente ritengo suicida pensare che SEL a Caserta possa rafforzarsi spaccandosi in due o in tre tronconi. Qualcuno si illude davvero che una vittoria congressuale al 51 o anche al 55% possa rendere più forte il nostro Partito? Le giuste esigenze di chiarezza politica non comportano necessariamente una lacerante spaccatura, di cui spero nessuno voglia assumersi la pesante responsabilità. Rompere le incrostazioni interne e ricomporre i pezzi sarà pure un lavoro difficile, ma vale la pena farlo (pazientemente, se almeno vogliamo essere un gruppo dirigente degno di tal nome) quando la posta in gioco è lo sviluppo del nostro Partito, ma prima ancora quello di ridare speranza e futuro ai nostri territori.
Domenico Tescione – Circolo SEL ‘Pablo Neruda’ Caserta